Conoscenze Tradizionali

IL SISTEMA DELLE CONOSCENZE TRADIZIONALI NEL MEDITERRANEO E LA SUA CLASSIFICAZIONE SECONDO LE DIFFERENTI FORMAZIONI SOCIALI
Pietro Laureano

Rappresentante per l’Italia nel Comitato Scienza e Tecnologia dell’UNCCD

Questo rapporto è stato preparato per il segretariato dell’UNCCD e presentato al “ad Hoc Panel Meeting” sulle Conoscenze Tradizionali di Matera svoltosi dal 15 al 18 luglio 1999.

Successivamente è stato presentato alla riunione del Comitato Scienza e Tecnologia a Bonn dal 27 al 28 Luglio 1999.

Il Comitato ha preso atto con soddisfazione del rapporto e ha richiesto al segretariato di renderlo disponibile per la terza sessione della Conferenza delle Parti.

Questo rapporto è stato diffuso durante la terza conferenza delle Parti tenutasi in Brasile dal 16 al 18 novembre 1999.

Obiettivi dello studio

  • Definire le caratteristiche delle conoscenze tradizionali;
  • Studiare i criteri secondo i quali le conoscenze tradizionali dovrebbero essere classificate;
  • Compilare un inventario delle conoscenze tradizionali nell’area del Mediterraneo e indicare le tecniche utilizzate con successo;
  • Verificare i diversi usi delle tecniche tradizionali integrandole con tecnologie moderne;
  • Formulare proposte e raccomandazioni

Tecniche tradizionali o sistemi di scienze locali?

Nella seconda Conferenza delle Parti tenuta a Dakar nell’ottobre 1998 (COP.2) il Segretariato della Convenzione ha diffuso e proposto alla discussione del Comitato Scienza e Tecnologia il lavoro di sintesi svolto a partire dai rapporti pervenuti dai diversi paesi sulle conoscenze tradizionali e dalle missioni di esperti appositamente inviati.

Lo studio (ICCD/COP(2)/CST/5) propone l’inventario delle conoscenze tradizionali come una lista di 78 voci di tecniche o pratiche raggruppate in 7 differenti tematiche:

  • Lotta contro l’erosione eolica o idrica (8 voci);
  • Organizzazione idrica per la conservazione dell’acqua (14 voci);
  • Miglioramento della fertilità dei suoli (20 voci);
  • Protezione della vegetazione (9 voci);
  • Silvicoltura (5 voci);
  • Organizzazione sociale (9 voci);
  • Architettura ed energia (13 voci);

L’inventario così strutturato è motivato per la necessità di sintetizzare una materia molto vasta e, progressivamente ampliato e corredato da elaborati grafici sulle differenti tecniche e procedure, costituisce un utile repertorio delle conoscenze tradizionali.

Tuttavia la classificazione basata sulla separazione per obiettivi e funzioni rischia di impoverire la tematica e di non cogliere il significato e il modo di operare delle tecniche tradizionali. Le conoscenze tradizionali e locali fanno sempre parte di un sistema complesso e quindi non possono essere ridotte ad una lista di soluzioni tecniche e circoscritte a un insieme di applicazioni distinte secondo i risultati da ottenere. La loro efficacia dipende da interazioni tra più fattori. Questi vanno accuratamente considerati se si vuole comprendere i successi storicamente realizzati tramite le conoscenze tradizionali e comprenderne la logica per una riproposizione contemporanea.

Ogni pratica tradizionale non è un espediente per risolvere un singolo problema, ma è sempre un metodo elaborato, spesso polifunzionale e che fa parte di un approccio integrato (società, cultura, economia) strettamente legato a una concezione del mondo basata sulla gestione accurata delle risorse locali.

Un terrazzamento, per esempio, è allo stesso tempo un modo per proteggere un pendio, ricostituire i suoli, raccogliere l’acqua. Esso funziona all’interno di una organizzazione sociale e di un sistema di valori condiviso che lo sostiene e che a sua volta su di esso si basa. Nelle zone aride quella che appare una rete di stradine è in realtà, nei momenti di piena, un importante dispositivo per la canalizzazione dei flussi che assolve alle diverse funzioni secondo gli andamenti stagionali.

La tecnologia moderna cerca l’efficacia immediata ottenuta tramite la forte specializzazione delle conoscenze gestita da strutture dominanti capaci di mobilitare risorse esterne all’ambiente. La conoscenza tradizionale misura la sua funzionalità sul lungo e lunghissimo periodo servendosi di un sapere condiviso, creato e tramandato attraverso le generazioni e le pratiche sociali e utilizza input interni rinnovabili. Grazie alla tecnologia moderna, ad esempio, si sono scavati pozzi a grande profondità pompando l’acqua in superficie con risultati rapidamente verificabili, ma che prosciugano le risorse limitrofe e, a volte, pescando in sacche idriche fossili, ne determinano l’esaurimento completo nel tempo. Il sapere tradizionale, invece, usa sistemi di raccolta di acqua meteorica o falde superficiali sfruttate utilizzando la stessa forza di gravità o tramite metodi di prelievo che permettono la ricostituzione della risorsa e la sua durabilità nel lungo periodo.

tab3Mentre i metodi tecnologici moderni procedono per separazione e specializzazione i saperi tradizionali uniscono e integrano.Nella concezione moderni foresta, agricoltura e città sono tre insiemi completamente separati che rispondono a bisogni distinti: legname, cibo, abitazione. Ad essi corrispondo sistemi scientifici specializzati: la silvicoltura, l’agricoltura, l’urbanistica.

Nella conoscenza locale il mondo delle piante non è artificialmente distinto tra la foresta che fornisce il legname commerciale e la superficie agricola, che fornisce il cibo (Shiva 1993 p18). Foresta, campi e abitazioni sono insiemi ecologici unitari. La foresta e altre aree marginali apparentemente non produttive, come le steppe e le paludi, procurano quantità alimentari importanti e forniscono risorse idriche, foraggiere e fertilizzanti per l’agricoltura. In esse si può anche convenientemente abitare.

La città tradizionale, a sua volta, si integra con l’agricoltura sostituendo, nelle zone deserte, la foresta per l’acquisizione di fertilizzanti prodotti dai rifiuti organici degli abitanti stessi e per la produzione di acqua raccolta sui tetti delle case. I campi tramite l’humus così formato danno il materiale colloidale indispensabile alle costruzioni nel caso delle città di terra cruda. L’incavo risultato dall’asportazione della terra viene utilizzato come impluvio per l’acqua, fossa per la trasformazione degli escrementi in humus, giardino produttivo protetto perimetralmente dalle pareti di scavo. E così via in un ciclo continuo di attività in cui il risultato dell’una è la base per la realizzazione dell’altra. Le architetture, in ogni più piccolo dettaglio costruttivo, si conformano a questa necessità.

sh A Shibam, la città oasi di terra cruda, nel sud dello Yemen, la planimetria dell’abitato è organizzata in funzione della possibilità di raccogliere, tramite un apposito gabinetto a due vie, gli escrementi degli abitanti indispensabili a trasformare le sabbie in terreno fertile. Questo principio così simile al funzionamento della natura in cui ogni residuo di un sistema è utilizzato da altri sistemi e non esiste il concetto di rifiuto o la possibilità di ricorrere a risorse esterne è quello che ha permesso la sopravvivenza dei gruppi umani nella storia
Le tecniche polifunzionali, il multiuso, hanno garantito occasioni di riuscita anche nelle avversità. La collaborazione e la simbiosi attraverso il riuso di tutto quello che viene prodotto all’interno del sistema ha permesso l’autopoiesi, l’autoriproduzione, lo sviluppo autopropulsivo, indipendente da fattori esogeni o occasionali.

Intensificazione delle risorse e formazioni socio-culturali

Non ridurre il sapere tradizionale a un insieme di tecniche significa leggere queste nel complesso delle condizioni ambientali, produttive e culturali delle società. L’inventario delle tecnologie, delle conoscenze, e delle pratiche tradizionali e locali diviene così lo studio delle formazioni sociali. Queste mantengono un rapporto con la natura tramite una serie di pratiche di uso delle risorse che costituiscono la loro dimensione tecnologica e fanno parte integrante del sistema culturale.

Tali conoscenze, tecnologie e artifici di trasformazione dell’ambiente rendono in grado le popolazioni di trarre da questo un numero crescente di risorse rispetto a quelle disponibili naturalmente. Si realizzano centri di amplificazione dei benefici capaci di garantire condizioni di vita ottimali suscettibili di ulteriori cambiamenti positivi. Comunità in condizioni di equilibrio con le risorse rimangono stabili per lunghissimi periodi. Oppure possono attuarsi trasformazioni profonde, diluite in grandi archi temporali o concentrate in più repentine rivoluzioni di status, che determinano il passaggio da una formazione sociale a un’altra.

L’oggetto di studio è allargato, quindi, alla storia e al sapere dell’umanità intera, senza limiti di spazio e di tempo. Per queste ragioni non si ha la pretesa di proporre un inventario esaustivo, ma di fare emergere un sistema, una griglia di riferimento teorico e uno schema di classificazione al cui interno potranno collocarsi progressivamente sempre nuovi contributi.

Il sistema delle conoscenze tradizionali è ricostruito seguendo la consueta classificazione delle formazioni sociali adottata in archeologia e in antropologia in: cacciatori–raccoglitoricoltivatori-allevatoriagro-pastori utilizzatori di metalliA queste tre categorie sono aggiunte due sintesi superiori costituite da sistemi sociali tradizionali complessi di intensificazione e di integrazione delle conoscenze (Tab.3). In essi le tecnologie dei gruppi sociali precedenti appaiono stratificate e combinate in modo variegato secondo le differenti situazioni sociali e ambientali.

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La prima sintesi di complessità è l’oasi intesa come una realizzazione artificiale dovuta alla perfetta sapienza ambientale. Nel deserto il contesto ambientale di aridità è interrotto da situazioni specifiche che creano nicchie e micro ambienti in contrasto con il ciclo complessivo. Una piccola depressione raccoglie umidità, un sasso dà ombra, un seme attecchisce. Si scatenano così dinamiche favorevoli: la pianta genera la sua stessa protezione ai raggi del sole, concentra il vapore acqueo, attira gli insetti, produce la materia biologica, costruisce il suolo da cui a sua volta si alimenta .

Si crea una sistema biologico utilizzato da altri organismi che arrecano il loro contributo. Si attua una simbiosi, un microcosmo, frutto della co-esistenza. Utilizzando questi processi le genti del Sahara realizzano le oasi.

Alla loro origine c’è spesso una singola palma piantata in uno scavo del terreno e circondata da rami secchi che la proteggano dalle sabbie. Con il tempo si sviluppano estese coltivazioni lungo canyon terrazzati o arcipelaghi verdi immersi tra le dune grazie a diversificate e complesse tecniche di produzione idrica, organizzazione del territorio e determinazione del microclima.

Sia pure a differente scala dimensionale opera il medesimo principio, l’effetto oasi: l’instaurazione di un circuito virtuoso capace di autopropulsione e autorigenerazione. Il processo può essere assunto come modello e si può generalizzare il termine oasi a tutte le situazioni, anche in area non desertica, di creazione di isole di vivibilità secondo la seguente definizione: oasi è un insediamento umano in situazioni geografiche inclementi che utilizza risorse rare, disponibili localmente, per innescare un’amplificazione crescente di interazioni positive e realizzare una nicchia ambientale fertile e auto sostenibile le cui caratteristiche contrastano l’intorno sfavorevole (Laureano 1988).

Ci sono quindi le oasi di terra cruda nel Sahara, ma anche oasi di pietra negli altipiani rocciosi, oasi di mare nelle isole. Persino nelle foreste pluviali possono essere definiti sistemi di oasi gli insediamenti Maya nello Yucatan che per l’ambiente carsico non disponevano di corsi d’acqua superficiali.Nicchie di intensificazione di tipo oasiano si riscontrano in tutto il Mediterraneo. Si tratta di sistemi di habitat presenti in particolare nella riva Sud del mediterraneo e nella parte euro mediterranea meridionale, nelle isole e penisole, in tutte quelle situazioni dove le condizioni climatiche ad andamento alterno e catastrofico, con precipitazioni concentrate in pochi mesi dell’anno e stagioni aride, impongono una gestione accurata delle risorsa acqua non presente allo stato libero, lacustre o fluviale e accorgimenti tecnologici per controllarne la variabilità nel tempo.

Il successivo livello di complessità è l’ ecosistema urbano che è il modello dell’oasi divenuto città. Si tratta di grandi città carovaniere nel deserto o di ogglomerati urbani che superano la piccola dimensione del modello oasiano. Aree irrigue sono create utilizzando situazioni geomorfologiche favorevoli in sistemi geografici precisi. Una grande capitale domina ciascuna unità di paesaggio: bacini isolati in mezzo al deserto; grandi pianure tra picchi montani; nastri di oasi lungo reti idrografiche; crocevia di strade lontane, internazionali o intercontinentali. Ma anche sistemi di habitat tradizionali che sfruttando al meglio le risorse disponibili, divengono centri storici di rilevanza regionale e con caratteristiche urbane.

La classificazione permette di seguire a grandi linee in modo cronologico il continuo processo di accumulo e stratificazione di conoscenze poiché i primi tre gruppi sociali corrispondono al passaggio dal Paleolitico al Neolitico e all’Età dei Metalli fino ai livelli superiori di complessità delle oasi e degli ecosistemi urbani. Ma se ciò si rivela utile agli scopi della classificazione sarebbe fuorviante desumerne una indicazione concettuale. Nel nostro modello, i tipi di formazioni sociali non rappresentano stadi evolutivi della storia umana quanto piuttosto condizioni che caratterizzano determinati periodi, ma che possono coesistere negli stessi momenti storici e infatti realizzano nel tempo continuità, sovrapposizioni e compenetrazioni. Formazioni socio-culturali prevalenti agli albori della storia umana sono tuttora largamente presenti in gruppi umani presso i quali si può riscontrare la pratica di conoscenze simili a quelle desunte dagli studi di paleontologia e archeologia. Vi sono, ovviamente, le dovute differenze, ma queste sono largamente presenti già tra comunità appartenenti allo stesso tipo di formazione sociale nel medesimo periodo storico. I tipi di formazione socio-culturale non vanno intesi come caratteri universali: essi cambiano in base al contesto geografico e alle specificità delle concezioni dominanti. La necessità di separare
e classificare è una esigenza scientifica, ma nasconde l’accavallarsi e lo stratificarsi nel tempo di livelli tecnologici e di culture, la contemporaneità di condizioni climatico ambientali diversificate, l’esistenza sincronica nella storia di esperienze umane e modelli sociali dissimili. Sia l’ambiente che la concezione del mondo di una comunità contribuiscono alla creazione e al mantenimento di caratteri specifici. Entrambi questi fattori variano continuamente nel tempo e da un luogo all’altro creando e preservando la diversità culturale.

L’Applicazione del modello a un caso di studio esemplare mediterraneo:

i Sassi di Matera


Sassi(Matera, Italia)

Esemplare dei modi di uso tradizionale delle risorse nel Mediterraneo è il caso dei Sassi di Matera e degli insediamenti analoghi dell’altopiano delle Murge fino a Taranto.


Petra (Giordania)

Il sistema di conoscenza locale utilizzato è riscontrabile in un insieme di situazioni estesissimo dai complessi trogloditi della Valle della Loira, in Francia, a Petra, in Giordania, alle città scavate nella roccia calcarea della Cappadocia, in Turchia, agli insediamenti sotterranei di Matmata in Tunisia, ai villaggi lungo i canyon dell’Algeria e del Marocco fino alle tecniche idriche dell’agricoltura andalusa e nabatea.


Cappadocia (Turchia)

Le città sono realizzate sui bordi di profondi valloni, le Gravine, che hanno sporadiche o nulle portate d’acqua. Gli insediamenti non si localizzano nel fondo del canyon come dovremmo aspettarci se fosse questo a fornire la risorsa idrica, ma in alto, lungo l’altopiano e i suoi pendii scoscesi.


Matmata (Tunisia)

E’ infatti l’acqua dei cieli, la pioggia e la brina, raccolta nei drenaggi e nelle caverne la risorsa dei labirintici complessi trogloditi dei Sassi di Matera e delle altre città di pietra delle Gravine (Laureano 1995). La stratificazione nel tempo delle conoscenze tradizionali seguendo la classificazione adotta in gruppi sociali, cacciatori – raccoglitori, coltivatori – allevatori, agro – pastori, mostra il determinarsi progressivo di un sistema complesso di sapere e di uso appropriato delle risorse fino alla creazione dell’oasi di pietra e dell’ecosistema urbano.

Cacciatori; raccoglitori


Raccolta di acqua nelle grotte per stillicidio e percolazione
L’attività umana è attestata fin dal periodo Paleolitico, come evidenzia il ritrovamento di un gran numero di reperti in pietra nella Grotta dei Pipistrelli e di uno scheletro intero di ominide rinvenuto in una cavità carsica nei pressi di Altamura databile intorno ai 250.000 anni fa.


Raccolta di acqua piovana nelle pozze
La Grotta dei Pipistrelli è una formazione naturale, ma la sua struttura costituita da un cunicolo con un ingresso affacciato sul pendio e l’altra estremità emergente tramite un inghiottitoio carsico sul piano è un modello per le realizzazioni artificiali successive.

Coltivatori; allevatori


Villaggi con grandi fossati per drenare il terreno e raccogliere l’acqua (polifunzionalità del sistema)
Con il neolitico appaiono le tecniche di scavo dell’altopiano calcareo e di raccolta delle acque che hanno nei Sassi continuità fino all’epoca contemporanea. Cisterne a campana, tracciati di capanne, canalette sono racchiusi in profondi fossati formanti cerchi e ellissi e per questo chiamati villaggi trincerati.

E’ probabile, tuttavia, che i fossati non avessero uno scopo difensivo e fossero piuttosto funzionali alle pratiche neolitiche di allevamento e coltivazione. Dalle analisi delle foto aere che evidenziano i perimetri per la vegetazione più folta appaiono piuttosto sistemi di drenaggio (Tinè 1983, Leuci 1991), di raccolta di acqua o di humus o labirintici corral necessari alle pratiche della vita agropastorale. Il recente scavo del complesso neolitico di Casale del Dolce nei pressi di Anagni ha fornito una autorevole conferma di questa ipotesi (Zarattini e Petrassi, 1999).

Agro pastori


Scavo di grotte a scopo culturale e per intercettare le acque
L’età dei metalli fornisce i nuovi strumenti che facilitano lo scavo di grotte e cavità. Queste con il peggioramento ambientale risultano sempre più adatte all’insediamento umano. Infatti la progressiva scomparsa del manto vegetale lascia i villaggi in superficie senza riparo, i suoli indifesi e determina la penuria di materiali lignei per la costruzione e il riscaldamento. Il clima vede l’alternanza di inverni freddi e di estati torride.


Corti a pozzo
La carenza di acqua, assente completamente in fiumi o in falde e presente solo in piogge violente e concentrate rende indispensabile le pratiche di raccoltadi acqua meteorica e di conservazione sotterranea. Originato nelle tecniche neolitiche di scavo delle miniere si afferma il tipo abitativo delle corte a pozzo da cui si diramano le gallerie radiali.


Terrazzamenti per la conservazione del terreno e piantagioni
Il modello diffuso in altre aree lontane come a Matmata in Tunisia e nelle pianure aride cinesi è all’origine della casa a corte utilizzata dai Sumeri, nel mondo classico e islamico. L’abitazione rinvenuta nei pressi del sito neolitico di Murgia Timone prospiciente i Sassi di Matera mostra i vantaggi di questo tipo costruttivo. La forma rettangolare simile ai megaron cretesi è ripartita in tre spazi formati da due ambienti aperti e un terzo ipogeo.


Muri a secco
La corte funge da impluvio per l’acqua e da spazio aperto e assolato, ma protetto perimetralmente, per le lavorazioni alimentari. La parte terminale, utilizzata per raccogliere i rifiuti e creare l’humus, è il giardino scavato nella pietra indispensabile a causa della povertà dei suoli e della necessità di riparare le piante. Le cavità hanno temperatura costante durante tutto l’anno, costituiscono i ricoveri ideali per gli uomini e per gli animali, per lo stoccaggio dei grani e la conservazione dell’acqua.

E’ interessante notare che dopo il rinvenimento di questa struttura e la sua liberazione dai sedimenti la cisterna nella parte ipogea ha cominciato a riempirsi d’acqua in assenza completa di pioggia. Il dispositivo ha quindi ricominciato a operare utilizzando le infiltrazioni capillari e la condensazione.

modello di cisterna e abitazione rinvenuta in località Murgia Timone, Matera

Sono in rapporto con pratiche di raccolta dell’acqua a scopo funzionale e rituale anche i tumuli dell’età del bronzo formati da un doppio cerchio attraversate da un corridoio recante all’ambiente centrale scavato. E’ significativo, infatti, che queste strutture siano state inserite proprio lungo lo scavo degli arcaici recinti neolitici, abbandonati al momento di queste realizzazioni, ma funzionanti ancora come convogliatori di umidità.


Tumuli e allineamenti di pietre
Le opere rinvenute a Matera sono del tutto simili alle strutture preistoriche formate da tumuli e ambienti ipogei del Sahara. Si tratta delle cosiddette tombe solari costituite da anelli concentrici intorno a un tumulo. Esse possono costituire antichi metodi di raccolta dell’umidità e della brina e rapportarsi a culti collegati a tali pratiche.


Monumenti megalitici; Condensatori di umidità
Allo stesso scopo possono essere interpretate le strutture di pietra a secco diffuse nelle terre aride delle Puglie dove gli accumuli di pietre raccolgono la brina notturna e riforniscono di umidità il terreno). Infatti le radici di ulivi centenari sono tutti rivolti verso i muretti che caratterizzano il paesaggio agrario. Sono quindi strutture di condensazione e conservazione dell’acqua i muri, i tumuli, i trulli e gli ammassi di roccia calcarea chiamati specchie. I dispositivi assolvono la loro funzione sia di giorno che di notte.

strutture preistoriche nei pressi di Matera ed in Sahara

Sotto il sole cocente il vento con tracce di umidità si infiltra tra gli interstizi del cumulo di pietre le quali hanno una temperatura inferiore nella parte interna perché non esposta al sole e raffrescata dalla camera ipogea sottostante. L’abbassamento di temperatura provoca la condensazione di gocce che precipitano nella cavità. La stessa acqua accumulata fornisce ulteriore umidità e frescura amplificand
o l’efficacia della camera di condensazione. Durante la notte il processo si inverte e la condensazione avviene esternamente ma produce risultati analoghi. Sulla superficie esterna delle pietre più fredda si condensa l’umidità e deposita la brina che scivola negli interstizi e si raccoglie nella camera sotterranea.

Oasi di pietra


Insediamenti di canyon e di gravine:integrazione verticale dei sistemi
Sviluppando le originarie tecniche preistoriche si realizza nei Sassi di Matera un sistema di habitat adattato che utilizza in modo combinato i diversi princìpi di produzione dell’acqua: la captazione, la distillazione e la condensazione. Durante le piogge violente terrazzamenti e sistemi di raccolta dell’acqua proteggono i pendii dall’erosione e convogliano per gravità le acque verso le cisterne nelle grotte.


Terrazzamenti: realizzazione di ecosistemi
Nella stagione secca le cavità scavate funzionano durante la notte come aspiratori di umidità atmosferica che si condensa nella cisterna terminale degli ipogei, sempre piena anche se non collegata con canalette esterne. Si creano molteplici piani di ipogei sovrapposti dalle lunghe gallerie che si affondano obliquamente nel sottosuolo. L’inclinazione permette ai raggi del sole di penetrare fino in fondo quando c’è più necessità di calore. In inverno, infatti, i raggi sono più obliqui e penetrano gli ipogei. Nella stagione calda il sole più vicino allo zenit colpisce solo gli ingressi degli ipogei lasciandoli freschi e umidi.


Abitazioni in materiali tradizionali funzionali al risparmio di energia, alla raccolta delle acque e al riciclaggio
Si arriva a oltre dieci piani di grotte sovrapposte con decine di cisterne a campana riunite fra di loro da canali e sistemi di filtro dell’acqua. Come nelle oasi del Sahara il sistema di conoscenze locali permette, in una situazione priva di risorse idriche, di realizzare una condizione vivibile grazie all’uso appropriato delle tecniche e alla loro perfetta interazione con l’ambiente.

Ecosistema urbano

Ecosistema urbano

Il monachesimo medievale fornisce nuova linfa a questo arcaico tessuto. Gli eremi, le parrocchie, i casali agricoli collocati nei punti di controllo delle opere idrauliche sono i poli del processo di crescita urbana. Intorno ai due drenaggi principali chiamati “grabiglioni” che forniscono terreno coltivabile e humus attraverso la raccolta dei liquami, si formano i due comparti urbani chiamati Sasso Caveoso e Sasso Barisano.

Al centro è la Civita,l’acropoli fortificata, l’antico rifugio in caso di pericolo, su cui viene edificata la Cattedrale. Ai margini dell’altipiano dove sono le grandi cisterne e le fosse, i silos rupestri per lo stoccaggio dei grani, si localizzano le botteghe e i laboratori artigiani. Lo svolgimento verticale della città permette l’utilizzo delle gravità per la distribuzione delle acque e protegge dai venti che spazzano l’altipiano. Matera si abbellisce di centinaia di chiese rupestri scavate nella roccia e decorate di magnifici affreschi bizantini o edificate sul piano con facciate monumentali scolpite nel tufo secondo gli stili del periodo di costruzione, medievale, classico o barocco. Ma l’intrico delle stradine, la rete delle scale e dei passaggi sotterranei continua a seguire l’antica struttura idraulica. Così ancora oggi la trama urbana dei Sassi di Matera può essere spiegata solo a partire dall’originaria matrice degli ipogei, delle cisterne e dei giardini terrazzati. Da quel sistema di sapere tradizionale che ha permesso la continua intensificazione dell’uso delle risorse senza esaurirle.

Il sistema delle conoscenze tradizionali nel Mediterraneo

Il Mediterraneo ha tre dei suoi lati in contatto con aree dove l’umanità si è dovuta confrontare con il fenomeno dell’aridità, ha isole completamente prive di acque sotterranee e superficiali che sono stati luoghi di sviluppo di elaborate civiltà e, anche nelle sue aree più settentrionali, presenta stagioni e luoghi dall’andamento climatico alterno e catastrofico.

Risultano, quindi, presenti la gran parte delle tecniche tradizionali relative all’organizzazione idrica per la raccolta, la conservazione e la canalizzazione dell’acqua e i sistemi per la protezione dei pendii e la creazione di suolo con caratterizzazioni e accentuazioni diverse secondo il contesto ambientale.

Si ritrovano anche dispositivi come le gallerie drenanti sotterranee di carattere più specificatamente oasiano, nordafricani o orientali, in Sud Italia e in Spagna veicolati dalla civiltà islamica o anche di origini più antiche.Le numerose tecniche di risparmio idrico dell’agricoltura nabatea, le caverne e i pozzi a condensazione, gli allineamenti di pietre per la raccolta di pioggia le dighe sotterranee sono diffuse, oltre che nel Negev in tutta l’area mediterranea. Esse hanno in Petra (Giordania) la loro sintesi di ecosistema urbano, ma sono presenti in Tunisia, Libia, Sud Italia e in particolare nelle isole veicolate da tradizioni anche preistoriche o diffuse dalle correnti di scambio più recenti.

Le tecniche dell’agricoltura andalusa in Spagna rappresentano un momento di grande intensificazione di queste pratiche collegato alla civiltà islamica. Nell’isola di Ibiza persiste una pratica di irrigazione di questo tipo di esemplare ingegnosità chiamata feixes. Le feixes sono un sistema di coltivazioni basate su una tipica organizzazione idraulica. I campi sono divisi in strette e lunghe particelle rettangolari separate da una rete di canali che hanno la duplice funzione di drenare l’acqua quando essa è sovrabbondante e di raccoglierla, risparmiarla e irrigare i campi nei periodi di siccità. Infatti senza questi lavori di organizzazione dello spazio la zona sarebbe naturalmente paludosa in alcune stagioni e arida o invasa dall’acqua salata del mare in altre.

Il sistema realizza un sistema di autoregolazione che permette di coltivare in maniera intensiva sia l’ambiente della palude che quello dell’aridità. I canali a cielo aperto sono profondi circa un metro e scorrono a un livello inferiore delle particelle di terreno, così lo tengono asciutto dall’acqua. La terra scavata per la costruzione dei canali è utilizzata per innalzare la quota del terreno coltivato. Nei periodi caldi, quando l’evaporazione del terreno è alta, le particelle assorbono la giusta quantità di umidità necessaria direttamente nel sottosuolo dalle pareti dei canali per osmosi e capillarità.

Il processo è favorito da ulteriori canalizzazioni sotterranee realizzate all’interno delle particelle. Questi canali sotterranei sono costruiti con pietre porose e rami di pino coperti da uno strato di alghe di posidonia raccolta sul litorale. Il metodo garantisce la funzionalità delle condotte per l’adduzione idrica e, allo stesso tempo, permette una certa permeabilità per il rilascio al terreno della quantità necessaria a tenerlo umido.

L’irrigazione si fa così dal sottosuolo direttamente alle radici delle piante. La tecnica permette il risparmio della risorsa idrica che, con metodi di irrigazione a cielo aperto sarebbe disperso per evaporazione.

Tecniche tradizionali sussistono non solo nella sponda Sud del Mediterrano e nelle aree meridionali del versante europeo ma anche in zone settentrionali come la Francia e perfino nelle montagne della Svizzera dove condizioni geomorfologiche perticolari determinano condizioni di aridità. La situazione è dovuta all’orientamento dei pendii montani rispetto ai venti dominanti che scaricano tutta la loro umidità durante la risalita dei versanti e, superata la cima, sferzano i pendii a valle con correnti eoliche secche ad alta pressione che dissipano le nubi. E’il fenomeno dei deserti di origine pedemontana che nelle condizioni svizzere crea valli contraddistinte dalla siccità e dall’aridità. Questi luoghi della regione del Vallese e della provincia della città di Sion sono invece contrassegnati da pascoli verdi e da una ricca coltivazione della vite. Il paesaggio non è frutto delle condizioni naturali, ma del sapiente uso di una tecnica tradizionale qui chiamata bisse.

Si tratta di canalizzazioni realizzate in legno o intagliate nella roccia che si prolungano in alta montagna fino alle sorgenti dei ruscelli e ai ghiacciai perenni e corrono per chilometri e chilometri con pendenze minime lungo i bordi scoscesi mantenendo una quota elevata per canalizzare le acque a monte dell’alveo di scorrimento naturale e irrigare con il solo utilizzo della gravità valli lontane che sarebbero altrimenti completamente prive d’acqua. Il sistema è retto da una coesione sociale, da corporazioni e società dell’acqua simili a quelle che gestiscono l’agricoltura andalusa o le gallerie drenanti sahariane. Esso genera, proprio come nel Nordafrica e in Spagna un paesaggio particolare in cui la localizzazione degli insediamenti è determinata dalla trama e dai punti di sbocco dei canali bisse.

Il sistema più diffuso che può essere definito come la caratteristica tipica dell’area mediterranea è quello dei terrazzamenti riscontrabile dal Medioriente, alla Grecia, attraverso l’Italia fino al Portogallo. Associato alla coltivazione degli olivi o a quella della vigna diventa un vero e proprio elemento di edificazione del paesaggio. I pendii e le colline del Mediterraneo settentrionale hanno resistito nel tempo all’erosione e hanno la forma che conosciamo grazie a questa opera titanica e prolungata nel tempo. Associati ai muri a secco, i cumuli di pietre (specchie), le architetture a tolos (trulli) sono l’elemento tipico della regione delle Puglie nel sud Italia. Nel centro e nel Nord Italia con i pendii terrazzati di Amalfi e delle Cinque Terre in Liguria danno luogo ad ecosistemi urbani di grande fascino e tradizione. La Sardegna e l’isola di Ibiza presentano sistemi di campi racchiusi da muri a secco denominati nello stesso modo “tanka” da un antico toponimo mediterraneo.

Sulla trama dei terrazzamenti e dei sistemi idrici si è realizzata la gran parte dei centri antichi mediterranei. Questi nella loro struttura inglobano e perpetuano le tecniche di raccolta di acqua piovana, le aree a orti protetti, le usanze di uso dei rifiuti organici per la creazione di humus, i metodi di architettura passiva e di controllo climatico per la conservazione degli alimenti e per il risparmio dell’energia, le pratiche di riciclo dei residui produttivi e alimentari. Le qualità estetiche che apprezziamo nelle città antiche, la bellezza dei materiali naturali, il conforto delle architetture e degli spazi, il rapporto organico stabilito con il paesaggio sono dovuti proprio alle qualità intrinseche delle tecniche tradizionali e alla ricerca di simbiosi e di armonia insita nella conoscenza locale.

In tutto il Mediterraneo società arcaiche, sviluppate in economie a carenza di mezzi, hanno basato la lo
ro sopravvivenza sulla gestione accurata e parsimoniosa delle risorse naturali. La compenetrazione stretta tra tecnica agricola tradizionale e insediamenti rende i centri storici tradizionali un elemento fondamentale nella preservazione dell’ambiente. Nello spazio mediterraneo caratterizzato da una antropizzazione intensa e storica, nessuna parte dell’ambiente è completamente naturale ma costituisce un paesaggio culturale in cui i centri storici sono la cristallizzazione di conoscenze adatte alla corretta gestione e manutenzione ambientale.

Crisi dei centri storici tradizionali e desertificazione e degrado dei suoli mediterranei

Quando l’equilibrio tra risorse e loro uso produttivo, faticosamente mantenuto nei secoli, si interrompe, l’ecosistema urbano collassa innescando il degrado di intere aree territoriali. Nel bacino mediterraneo, nelle sue isole e penisole, in Siria, Libano, Mesopotamia, Palestina, Arabia e Nordafrica, i luoghi delle più antiche civiltà, dove gli scavi archeologici rivelano città una volta circondate da una natura rigogliosa, ricche di campi e giardini fiorenti, risultano ora abbandonati e seppelliti dalle sabbie. Il processo di desertificazione ha avuto una costante progressione a partire da 3000 anni fa; si è accentuato con l’era industriale e ha raggiunto dimensioni catastrofiche negli ultimi 50 anni.

Il continuo degrado ambientale non è dovuto a cause naturali e climatiche, ma alla pressione indiscriminata operata sulle risorse naturali. I modelli di esistenza, di produzione e di consumo, che hanno sostituito gli assetti tradizionali nei paesi avanzati, determinano l’esaurimento totale delle risorse locali alimentando la crescita ipertrofica delle aree sviluppate tramite il ricorso massiccio a energie convogliate esternamente, prima dall’hinterland, poi da zone sempre più lontane. Si allarga così la distruzione del patrimonio vegetale e paesistico e si interrompe la catena millenaria di trasmissione attraverso le generazioni di conoscenze appropriate all’ambiente. La loro scomparsa provoca la fine delle capacità di manutenzione e di governo dello spazio a cui dobbiamo l’assetto equilibrato e armonioso di territori esemplari come paesaggi creati dal lavoro e dalla cultura.

All’urbanizzazione di nuove aree corrisponde l’abbandono e l’esodo dai centri antichi con la scomparsa di presidi territoriali capaci di una corretta gestione dell’ambiente. Si determina un processo di desertificazione fisico e sociale. Il degrado architettonico, l’erosione dei sistemi di pendio, la salinizzazione dei suoli costieri determinano il depauperamento delle risorse umane. L’emigrazione, la perdita di identità, la caduta dei valori sono aspetti socio culturali della desertificazione causata dalla scomparsa del sistema di sapere tradizionale.

Nelle società moderne i beni necessari alla sussistenza sono forniti dal commercio mondiale e dalla globalizzazione. Sia le merci pregiate che i beni di consumo e spesso lo stesso cibo arrivano da molto lontano. Anche nelle società a piccola scala si attua lo scambio di cibo e di materiali, ma le risorse che permettono l’esistenza, la massima parte dei prodotti della caccia o delle coltivazioni sono tratte dall’ambiente più prossimo. Si tratta di società basate sulla sussistenza locale. La crisi di questo modello ha fatto in modo che gli insediamenti umani da custodi dell’ambiente ne siano diventati i distruttori.

Le moderne aree urbane contribuiscono al processo di desertificazione in modo diretto e indiretto: direttamente perché si può dire che la stessa urbanizzazione massiccia è desertificazione a causa della cementificazione di vaste superfici naturali; indirettamente attraverso l’assorbimento e la distruzione nelle aree di forte concentrazione demografica di risorse naturali dal territorio.

Tale rapporto stretto tra urbanizzazione e desertificazione è riscontrabile sia nei paesi non industrializzati che in quelli sviluppati.

In Africa nelle aree del Sahel dove è più forte la desertificazione il processo di degrado è innescato e si estende proprio a partire dalle aree di moderna e accelerata urbanizzazione che per le loro necessità depauperano il territorio circostante. Nel Mediterraneo l’estendersi del processo di desertificazione è in diretto rapporto con la crisi dei centri urbani storici che a un assetto tradizionale del paesaggio costituito da sistemi abitativi a forte compenetrazione naturale e a basso consumo di risorse, sostituisce un modello basato sulla cementificazione massiccia, il dispendio energetico e l’inquinamento ambientale. L’accentramento nelle aree urbane, l’aumento della domanda di prodotti agricoli e di beni di consumo determina l’abbandono dei sistemi tradizionali di coltivazione e l’introduzione di nuovi metodi e politiche agricole basate sulla monocoltura. Lo sradicamento, la perdita o la ridefinizione di ruolo di categorie come gli anziani e le donne portatori di conoscenze comportano il depauperamento di capacità di gestione delle risorse e la perdita di sapere tradizionale.

Raccomandazioni: Il modello tradizionale per un nuovo paradigma tecnologico

Le popolazioni delle regioni a maggiore rischio di desertificazione e degrado e le conoscenze in esse accumulate costituiscono una grande risorsa perché il sapere fare locale affinatosi proprio nelle condizioni ambientali più dure e l’esistenza di strutture antiche intatte sono un patrimonio prezioso su cui basare la realizzazione di nuovi modelli di sostenibilità.

I paesi del Mediterraneo hanno un ruolo fondamentale come situazione di cerniera tra le aree più colpite e le economie avanzate. Gli insediamenti storici, i paesaggi tradizionali, le conoscenze locali offrono un ricco esempio di soluzioni che vanno salvaguardate e possono essere riproposte adattate e rinnovate con il concorso della tecnologia moderna.

Nel loro riuso non è importante la specifica procedura, ma la logica in essa racchiusa. Essa deve rispondere ai seguenti principi:

  • La valorizzazione di risorse interne;
  • La capacità di gestione locale;
  • I costi non elevati spendibili localmente;
  • La preferenza di una alta componente di lavoro piuttosto che di capitali;
  • Lo stretto legame con il contesto ambientale;
  • I cicli di produzione e consumo che si integrano a vicenda;
  • La tendenza alle emissioni zero, cioè la possibilità che ogni attività ne alimenti un’altra;
  • L’auto valorizzazione e l’autopiesi (autoriproducibilità);
  • La polifunzionalità e la compenetrazione tra risultati tecnologici e valori culturali e estetici;
  • La gestione accurata delle risorse;
  • Il risparmio dei luoghi e delle energie;
  • La gestione dell’ecosistema;

Il progetto integrato.

Nel Sud Italia centri tradizionali come Matera furono completamente svuotati dagli abitanti negli anni 50 e 60 perché considerati sorpassati dalla modernità. Sono ora restaurati e ripopolati riusando le architetture tradizionali costruite con materiali locali a risparmio di energia, recuperando acqua piovana nelle cisterne, riciclando i rifiuti. Il processo di valorizzazione è stato innescato proprio dalla creazione di un nuovo paradigma: interpretare luoghi considerati simbolo di povertà e di miseria come spazi geniali e modelli per il futuro. I pendii abbandonati sconvolti dall’erosione e dal degrado dei suoli sono restaurati con il sistema dei muri a secco e dei terrazzi

Gli interventi ad alta intensità di occupazione recuperano il sapere antico e attuano il consolidamento dei versanti realizzando nello stesso tempo una zona di giardini di piacere per la popolazione e un richiamo culturale. Questi progetti diventano attrazioni turistiche con benefici aggiuntivi per la popolazione.

I sistemi tradizionali hanno infatti un interesse archeologico, storico, antropologico e questo aspetto aggiunge loro un valore culturale di richiamo che permette economie ulteriori. Il processo è estendibile in tutto il Mediterraneo dalle Casbah e le Medina del Nord Africa ai sistemi tradizionali del Medioriente.

Secondo la logica del sistema di conoscenze tradizionali un nuovo modello di gestione ambientale per la lotta alla desertificazione e il degrado dei suoli nel Mediterraneo deve basarsi sulle seguenti idea guida :

nelle zone rurali considerare l’agricoltura non un semplice sistema di produzione ma un’azione necessaria per la manutenzione del territorio;

nelle aree urbane integrare ambiente e città e attuare piani di azioni per la realizzazione dell’insediamento umano sostenibile e della gestione della città come ecosistema.

I programmi devono vertere su azioni innovative nella gestione delle risorse suolo, acqua e energia. In particolare occorre:

  • dare nuovi indirizzi a quei finanziamenti di cui si è verificato che sono causa di distruzione di sapere locale, di incendi, di degrado dei suoli e di trasformazioni dannose del paesaggio;
  • favorire e promuovere i sistemi tradizionali di produzione, di raccolta e di distribuzione delle acque;
  • favorire le pratiche tradizionali nella organizzazione della produzione per cicli integrati;
  • incentivare i programmi di autopoiesi e sostenibilità del sistema urbano;
  • promuovere i sistemi di integrazione tra i segmenti del ciclo urbano (produzione, consumo, rifiuti);
  • favorire la partecipazione delle popolazioni rivalutando in particolare il ruolo degli anziani, delle donne, dei bambini e degli strati marginali e organizzando reti territoriali tra i comuni, patti territoriali, comunità di bacino, parchi.

La logica del sapere locale e dell’assetto tradizionale del territorio va riproposta come tutela e conservazione della qualità del paesaggio tipico mediterraneo e in nuove forme e soluzioni per attuare

un nuovo ruolo globale e riproponibile dei sistemi rurali tradizionali finalizzati alla conservazione dei suoli e al risparmio delle risorse, attività rese sostenibili grazie anche all’integrazione di altre economie come il turismo culturale e di scoperta, l’archeologia e la fruizione dell’ambiente con la conseguente proposta di riconversione in questa direzione di metodi agricoli fattori di desertificazione e la rinaturizzazione di aree stravolte dall’agricoltura industriale; nuovi cicli integrati di produzione, consumo e riciclo in area

urbana con la valorizzazione dei centri antichi e il riuso di materiali e di tecniche costruttive tradizionali nelle nuove costruzioni, la proposizione di nuovi quartieri basati sul risparmio e uso appropriato delle risorse e la rinaturizzazione e trasformazione ambientale di aree sottoposte alla desertificazione urbana o industriale;

programmi di nuova generazione di assetto territoriale che tengano conto del valore estetico, culturale ed economico del paesaggio, inteso come una qualità specifica dell’area mediterranea in generale e italiana in particolare, formatosi nel corso di un rapporto millenario tra l’umanità e la natura, con l’obiettivo del consolidamento del suo aspetto attraverso la tipizzazione degli elementi caratterizzanti e la riproposizione innovativa della logica tradizionale attraverso azioni di arricchimento dei suoli, di ripascimento delle falde e di risparmio delle risorse.


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